Se nel mondo contemporaneo i «mutamenti percettivi» in atto sono troppo veloci per essere afferrati nella loro portata – spiazzando anche la nostra capacità di afferrare e significare una realtà e uno scenario in trasformazione continua – il loro rallentamento o l’affondo verticale divengono quasi necessari per comprenderne il senso.

Riconoscibile è nel lavoro di Mastragostino una matrice il cui ambito di ricerca si riconnette ad una stagione particolarmente ricca e produttiva, collocabile intorno agli anni ’60; non quella di «ricognizione» entusiasta e giocosa – che fu l’esperienza della Pop italiana – nei confronti di una società dì massa – allora ai suoi esordi – e le sue nuove icone come l’uso, quasi ingenuo- rispetto alle sofisticate tecniche odierne – dei metodi pubblicitari; ma quella di una analisi attenta della realtà – allora in mutazione – che cercava di capirne il senso più profondo e il modo in cui questa incideva sulla stessa percezione del mondo.

Il riferimento (oggi come allora) è, in particolare, ad un mutamento della categoria di spazio: da «mentale» – come nella ricerca astratta precedente – a «percettivo»: coinvolgendo e significando, in una trasformazione non solo fenomenica, la relazione soggetto/ oggetto, individuo/mondo, ma anche noumenica.

La ricerca di Cosetta Mastragostino si situa all’interno di questo mutamento.

«Fare spazio» diviene, quindi, l’atto fondamentale di una sottrazione al «troppo pieno» di significati e di immagini – come di modelli tendenti a sostituirsi ad una realtà in un codice «iperreale» – che tende a ritrovare la coincidenza silenziosa tra soggetto e oggetto, senza un primato dell’uno sull’altro ma per essere (ed esistere) «con» l’altro.

E l’Altro per eccellenza non può che essere la materia di cui non si cerca di carpirne (o di imitarne il senso o la forza creativa), ma disponendosi all’ascolto, di essere con le sue trasformazioni e mutamenti. La disponibilità poetica all’ascolto delle «cose» (e della materia) è vicina ad un atto – che è anche filosofia di vita – meditativo che ricorda il modo di porsi di alcuni artisti orientali del «Monoha» (La scuola delle cose).

Il rallentamento quindi è duplice: interno ed esterno; se il materiale usato è la terracotta, la sua fragilità è posta in contatto con il legno, il ferro: il nesso non è il contrasto tra i materiali ma l’elemento centrale è il «vuoto»; in particolare negli ultimi lavori.

Allieva di Carrino, della sua ricerca le è pertinente la concezione dello spazio «mutante» delle relazioni possibili.


Gabriella Dalesio

Presentazione mostra Centro Di Sarro 1990